Fallimmo,
Nel circumnavigare il cuore
Delle tenebre e dei leoni.
Imbarcammo valigie troppo anguste,
per la fantasia,
Fummo costretti a usare secchi,
Pentole,
Bicchieri,
Pativamo la fame e la sete,
Non avevamo di che liberare la stiva,
Dai topi e le sirene,
Troie bugiarde e suscettibili,
Latravano impunite.
Così navigammo a vista,
La bussola adoperata come fermacarte,
Per le lettere
Che non avevamo il coraggio di scrivere.
Le schiume attechivano agli oblò
E le scacciammo a sputi.
La rotta,
Cieca e dolente,
Era un gigante spossato,
Abbrutito,
Su un letto schiavo dei venti,
E delle maree.
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2 commenti:
Folgorante l'incipit, il pathos cresce... ma cede un po' nelle ultime due strofe, che secondo me potrebbero anche essere tagliate, in modo da chiudere la poesia con l'immagine (splendida!) della bussola usata come fermacarte per le lettere mai scritte. In agni caso, mi è piaciuta molto: bravo gelo!
(zia Fiò)
ma, ti dirò... la parte che ti piace, tutta mentre ero in macchina ieri, che ero preso bene, perché ero tardissimo ed ero tipo a 160 in paese, ma usavo il coso vocale, lì, eh, mica digitavo.
Poi l'altra metà la sera, che andavo più tranquillo,
a me l'idea della stoltezza degli sputi per allontanare la schiuma, che porta cecità, piace comunque, mentre ti do ragione, l'ultimo, ha di bello solo quell'ambiguità della parola rotte, ritirata-percorso, che però andava messa meglio, ma insomma, le ultime due parole penso d'averle scritte alle tre denotte, e coi pensieri quel che viene viene, non han certo dignità di poesia ;)
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