sabato 30 giugno 2012

Le schiene degli spettri

Il tempo è come una fune tesa, immota,
Senza padroni.

Tu arriverai, 
Le tue carezze avranno abiti leggeri,
L'animo dell'edera e del mughetto.

Cingerai di pelle la pelle,
Le penombre dilateranno il buio
Caldo del contatto;
Sbiadirà l'affresco, muto,
Graffiato alla buona sui muri sottili
Della tua ingenuità.

Disegneremo un animale misterioso,
Estinto,
Fatto di sussurri,
Brezze e cristallo,
Da tatuare sulle schiene
Di tutti i nostri spettri.


venerdì 29 giugno 2012

Due mani e la fine del nocciolo carnoso

Stamattina ho deciso di andare sul fiume. Sul tagliamento, sì, proprio lì dove c'è quel tronco bruciacchiato laggiù, ché poi vicino c'era l'acqua più profonda - quella là che diventa più blu - e potevo farmi il bagno.
Non c'era nessuno. Vero... erano solo le nove e mezza, e poi la gente è arrivata, ma prima ero solo. Potevo tirar su il costume e fuori le chiappe e ronfare a mio piacimento.
Ed è più o meno quello che ho fatto. Quasi subito o cominciato a sonnecchiare, braccia larghe e faccia al sole, e a certo punto, non so perché, ho aperto gli occhi, girato la testa di lato e davanti agli occhi, con un richiamo, prima una e poi l'altra, mi sono passate due rondini. 
Non avevo nemmeno mai notato che le rondini facessero quel verso strano, tipo uno squittio trillante da base di un qualche rapper americano. Ed era la prima volta, anche, che una rondine mi passava praticamente sulla faccia. Due, anzi. 
Così ho pensato... bello. Speciale. Da ricordare, come un piccolo graffio della giornata. Chissà... pensavo, a quanti le rondini saranno volate a mezzo metro dalla faccia? Non credo a tanti... pensavo, e quindi ero contento. Ho cominciato a pensare alle cose, agli intorni, a gesti piccoli che non si fa, ogni tanto, perché si è perso il gusto nel vederne la bellezza. Ho allungato una mano e cercato un sasso piatto... non so come li si chiama, quelli comunque da far saltare sull'acqua. Mi è venuto in mano, quasi subito, un sasso bello, largo quanto un sottobicchiere e sottile. Stava nel palmo...
E così mi sono tirato su quel tanto, senza nemmeno mettermi seduto, e l'ho lanciato, contando otto rimbalzi. E non ho pensato niente, solo che è sempre bello far rimbalzare i sassi sul pelo dell'acqua. Mi sembra quasi una cosa simbolica, un dimostrare che una cosa pesante, come un sasso, come un piccolo dio, può camminare sull'acqua. E poi ho pensato, subito dopo, al mio chiedere un sasso, ogni tanto, a chi mi chiede cosa portarmi da un posto lontano... Un sasso è puro pensiero. Un sasso non costa niente se non la fatica di cercarne uno bello, particolare, raccoglierlo e non perderlo, o dimenticarlo. Perché non ti ricordi di aver un sasso, tra le mani. E' il pensiero di portarlo a qualcuno, che te lo fa riporre, conservare e consegnare. E un sasso è una cosa, una delle poche, che per certi versi è senza padroni. Senza un sacco d'altre cose, certo, ma è una res nullius e io l'ho sempre apprezzato. E tutto questo l'ho pensato mentre ero lì, dopo le rondini e dopo aver tirato il mio sasso. 
Ero ancora solo, circondato da quel rumore ciottoloso che sa fare il fiume, quando si pettina con la corrente. Avevo persino rinunciato volentierissimo all'i-pod, visto che la musica, bene o male, la si usa spesso per coprire, piuttosto che per scoprire. E così ho mangiato una pesca e mi sono perso via a pensare se il nocciolo era meglio gettarlo in acqua o tra i sassi. Se fossi stato che so, al parcheggio, avrei lasciato un po' di polpa in più e l'avrei dato alle formiche. Sono simpatiche, sanno di vita, quando corrono in fila continuamente. Sono un generatore di continuità. Ma qui tra i sassi non ci sono formiche. Ho visto pidocchietti d'acqua, un ragnetto, forse, ma nient'altro. magari se lo butto in acqua, il nocciolo, nutre altre bestie? Insomma... ero perso in questi pensieri e ho pensato che è bello, sapersi perdere così, soprattutto quando non è importante. Infatti non lo ricordo nemmeno, che fine ha fatto quel nocciolo carnoso...
Comunque, ho smesso di pensare. Diciamo pure fino sulla strada del ritorno quando ho sentito due canzoni, una dietro l'altra, alla radio, e fatto due cose. La prima è accelerare per tentare di far cagare in mano uno che andava in sorpasso azzardato. Mi dava fastidio, non ci posso fare niente, e stavo ascoltando Time is running out, dei Muse. E ho pensato che non avrei tolto il piede. Così, solo per vedere se riusciva a rientrare o meno. E' riuscito, ovviamente, anche se per un pelo. E non mi importa un piffero, in quei casi, se crepavo pure io.
Poi però è passata questa canzone qua, di Vedder, bellissima per altro, (dovreste ascoltarla, per capire), e io ho rallentato e sono tornato ai pensieri di prima, sui sassi, sul puro pensiero, sulle rondini e il nocciolo di pesca, e non avevo voglia di schiantarmi più.
E c'è questo verso, poi, che dice che lui è un uomo fortunato a contare su entrambe le mani le persone che ama. Qualcuno ne ha una sola, qualcuno nessuna. E io? Quante ne ho? Così ho cominciato a contare... ma non ricordo nemmeno, se ho passato la prima mano. Ma ho pensato, poi, e tutto si è aggiustato, che io, in fondo, mica ho smesso di contare...




giovedì 28 giugno 2012

Tienimi

Tienimi le mani,
Ché nessuna ombra di pelle vada
Sprecata,
Intrecciale,
Come faresti con una borsa,
Che trabocca di minute
Meraviglie,
Ma senza segnarti le dita.

Poggiami delicata,
Sulle infinite mensole pulite,
Tra un pensiero e l'altro,
Ché non si graffino,
Né offendano,
Né sfuggano,
Lontani,
Feriti o confusi,
Ma restino intatti
E sereni.

Tienimi al caldo del tuo respiro,
Trattienimi come si trattiene
Uno schiaffo,
Una parolaccia,
Un'occhiata di troppa attenzione,
A chi è meno fortunato
O troppo rapito
Dalla mediocrità.



mercoledì 27 giugno 2012

Una carezza in più

Chiedimi sottovoce
Se ho trovato parcheggio
Vicino alla Luna, 
O se ho dovuto camminare
Nel fumo vomitato dalle stelle
Troppo stanche per brillare.

Ti dirò che ho una valigia di conchiglie,
Gonfiata di maniglie e lampadine,
Che ho staccato alle prigioni
Dove ho rinchiuso i miei giacigli.

Ti dirò che a casa tua,
Tra la credenza e l'orizzonte,
Ho lasciato una carezza in più,
Ti dovesse servire, 
Per te o per i nemici.


venerdì 22 giugno 2012

Anafore

Foto non mia ma di Jessica Z. :)
Ho voglia di anafore,
Di un mare da tenere in mano
Mentre le linee del palmo generano burrasche.

Ho voglia di anafore e di preghiere,
Con le parolacce e i gemiti,
Da recitare alle stelle per vederle applaudire.

Ho voglia di anafore,
Di una melodia di lattine e bottiglie
Dilaniata dalla dolcezza.

Ho voglia di anafore e delitti,
Respiri decapitati e sguardi in fiamme,
Mani che strappano la gola alle carezze.

Ho voglia di anafore,
Di una nuvola messa all'angolo da una farfalla
Con un profumo di sale e sete.

Ho voglia di anafore e di scintille,
Sirene senza volto con ali di schiuma,
Volate in grembo alla dinoccolata inanità.


giovedì 21 giugno 2012

Acrobati, missili e immensi draghi.

Andremo via,
Acrobati aggrappati alle cannucce
E le suole a far presa
Sul tintinnio del ghiaccio.

Saremo mani di colore nella camera
D'aria
Di una bicicletta che ha fatto il giro del mondo
Con una sola pedalata.

Costruiremo pianeti di vestiti
Stropicciati
E i missili per andarci.

Avremo tempo da infilare
Di nascosto
Nelle mutande del tempo
Mentre gli rubiamo i fremiti,
Le ore
E tutte le perplessità.

E cresceremo le fauci
Di un drago immenso, inselvatichito
Che vive in un mare di tenerezze,
Confuso dai più,
Ma da noi domato.


lunedì 18 giugno 2012

Come si cresce un albero

Io premuto contro il futuro,
I suoi denti di vetro,
Le malattie,
L'argento a distrarre gli occhiali.
Ché ho coltivato sempre,
Dicevano,
Il solo nella compagnia,
Il ruvido nella melodia,
Il sano nella follia.
 Ché ho cresciuto me
Come si cresce un albero,
Bagnato di sguardi e screziato
Delle cattiverie che riserviamo
Alla corteccia,
Ai rami,
Alle foglie strappate per diletto
O per dare alle mani
Qualcosa da fare.
Io premuto, tuttavia
Incurante e lieto,
Non ho paura dello spazio,
Dovessi rubarlo persino,
Per regalarlo alle radici
E ai temporali.
 


sabato 16 giugno 2012

Stelle e gelsomini

Il gelsomino è bello. Sì, dico proprio la pianta, il fiore e quel suo attaccarsi per abbellire, magari soffocando, certo, ma per abbellire. Il profumo, poi, è di quelli che dà un senso alla parola "inebriante". Perché magari stai lì, a definire profumi in questo modo, ma non ti rendi conto di cosa significhi veramente. Col gelsomino, soprattutto quando sono tanti, lo capisci.
Ce ne sono  ovunque, in questi giorni. Sarò io che li noto più spesso, non so, ma mi cattura sempre, il loro odore. Così come adesso, uscito per gettare la bottiglia della Becks, nel vetro, of course, mi hanno catturanto le stelle. Sono tante e gonfie di carattere, loro, anche se noi le guardiamo appena, vuoi perché stanno in alto, e in alto non guardiamo mai, vuoi perché pensiamo siano sempre uguali, e magari, non le abbiamo viste nemmeno una volta, con l'attenzione che meritano.
Stasera dovrò ricordarmi di ricordarmene...


venerdì 15 giugno 2012

Funi di vetro e pelle

Il sole verrà.
Le ombre si terranno per mano,
Battendo i denti,
In ritirata.
Avvoltolate nelle loro lenzuola,
Traboccanti di sogni e cuori angusti,
Ma il sole verrà,
E se lo inchiodiamo,
Leghiamo con funi di vetro e pelle,
Non andrà lontano,
Non andrà
Più via.



giovedì 14 giugno 2012

Scrigno

Mi hanno lasciato
Tra le mani uno scrigno,
Traboccante di gemme e scorpioni,
E una libellula linguacciuta
Ad annodare i fili
Delle lame che verranno.


sabato 9 giugno 2012

Se no

Se l'opera del ragno
Non è geometria,
Ma devozione,

Se la nemesi di una nuvola è un'altra nuvola
E si vale per il tempo
Altrui
Sputtanato per noi.

Se sono i gesti a vuotare
O riempire
E le parole a dipingere.

Se il fiammifero brucia
Le ombre e le farfalle.

Se ogni mare è una collana
Di schiume e cavalloni.

Se sappiamo 
Di sale e cecità.

 E se no, 
Non è
Ne sarà.


venerdì 8 giugno 2012

I miei gatti

I miei gatti hanno code di cenere,
Hanno occhi di fango e dita leggere, nei sogni,
Quando decidono di sognarti.
I miei gatti si mangiano la lingua,
Correndo,
Con un balzo che uccide il tramonto e sventra le nuvole.
Sono fatti di verità, d'incoscienza, di mare calmo scremato dalle melanconie
E dagli schiamazzi.
Sono fatti di canto, di bruma, il cuore di curcuma e cumino, 
Speziato come un respiro sul collo, nell'istante che precede
Il desiderio.
I miei gatti sono conditi con limone, fame, miracoli e poesia,
Stanchi di mordersi la coda,
Hanno cambiato strada, e casa,
E la tovaglia che gli era stata apparecchiata sul naso.
Alla forchetta
Hanno rubato i denti, 
Al cucchiaio
Il sapore delle mani che cercano di trattenere l'acqua
Nel turbine sconnesso di una fontana.
I miei gatti sono selvatici.
Non hanno imparato mai
A ubbidire.



mercoledì 6 giugno 2012

Questa lunga fila di vvvvvvvvvvvvvvvvvvv

C'era questa situazione assurda, oggi, poco fa, che ero poi a correre, qui dietro casa - che al parco non si va poi tanto, con quel che costa la benzina - e quindi poi, metti anche che non è che sempre vuoi fare le megacorse, e un po' pensavo ai cazzi miei, andavo piano, mi son fermato sul pozzo a fare non so bene cosa, a cantare, più che altro, che quella canzone degli young the giant  è tutto giorno che la canto, e poi, rientrando, così, ogni tanto lo faccio, ho tagliato per il cimitero, ché alla sera non c'è mai nessuno e si sta quieti, che puoi canticchiare un po' senza che ti caghino il cazzo guardandoti male le vecchiette del paese cariche fiori e recipienti di detersivo pieni d'acqua... e insomma, dicevo, ecco che c'è questo venticello, e io entro e taaaac, un attacco di cag8! E stavo pure ascoltando marilyn manson... e quindi mi son detto, ma che è, un castigo per essere qui ad ascoltare 'sta roba invece che pregare?
E quindi stavo quasi per cambiare eh, ma poi il cag8 se n'è andato, e così mi sono messo a salutare la gente, lì, delle fotografie. Non ho un buon rapporto coi morti, io, perché tendo a dimenticarmeli e pure - me ne vergogno - a mettergli in scala di priorità, che poco ha a che vedere con quella delle parentele o dei ricordi. Così finisce che saluto sempre due volte mio zio Danilo e Flavio prima ancora di mia nonna, che poi oggi, che flash, leggere sulla tomba Marangone ved. Serafini, a scatenarmi pensieri inutili e assurdi anche se non brutti. E insomma... poi altri due zii, un altro paio di vecchietti che mi stavano simpatici, un mezzo alcolista che una volta, da piccolo, mi regalò nonricordocosa. Quindi ecco, le scale di priorità del salutare i morti vanno un po' a puttane, soprattutto pensando che io non so chi sta dove e a volte vago cercando qualcuno che poi scopro riposare da tutt'altra parte.
Comunque, non so voi, ma a me, certi morti magari già lì da un po', mi capita di guardarli con occhio oggettivo, come oggi, che ho realizzato che sia i miei zii, sia altri, di quel ceppo, erano belli. Sì, magari di quella bellezza delle foto vecchie, ma aveva un qualcosa di particolare, quella bellezza, che adesso non sapremmo comprendere, perchè, forse, non è immediata, è un po' antica, lenta, levigata e liscia, non spigolosa.
Ma perché ho tirato fuori questo... non so, so che ora mi stavo addormentando e avevo lasciato questa lunga fila di vvvvvvvvvvvvvvvvvvv
Bisogna sapersi arrendere, suvvia, andrò a dormire, ché domani guarderò Venere.


lunedì 4 giugno 2012

Gelsomini

Sono un funambolo
Nella casa di un mago
A farsi predire la caduta.

Una macchia di pioggia
Sull'asfalto notturno,
A forma d'imbrunire.

Sono fuoco,
Struggente,
D'artificio,
Che ha venduto l'anima
A un buffone
E le scarpe ai figli.

I gelsomini
Del mio giardino
Hanno un viso dolcissimo
E le mani profumate.

La pioggia,
Rumore perfetto,
Le abbraccia e stringe
Per intere notti
E intere stagioni.


domenica 3 giugno 2012

Fate come gatti

I miei buffoni
Hanno le gambe corte,
Il viso raggrinzito,
Le mani a scimmiottare 
Le radici di carpino.
Dormono in piedi
Sui bicchieri e sulle sigarette,
Usano le fate come gatti, 
Gli occhi di perla e galaverna
Puntati al confine
Delle parole che hanno capito
Solo a modo loro.
Ne ho decine,
Forse migliaia,
E di molti non ricordo più
Nemmeno il nome.
Solo un gesto, qualche frase mangiucchiata
Da risate gracchianti e sterili,
Mentre fanno volume,
Rumore,
Perdere tempo.
Eppure sbuffando
Alle mie piccole follie
Soffiano la mia polvere,
Via,
Lontano dai confini
E dalle malignità.


sabato 2 giugno 2012

L'albero di gelsomini





 

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