domenica 27 gennaio 2013

Ghiaccio sui tetti


Ghiaccio sui tetti.
Imprigiona la Luna
Un gelso impavido.


giovedì 24 gennaio 2013

La nebbia, tiepida



La nebbia, tiepida,
Copre il seno alla piana.
L'alba ritorna.


martedì 22 gennaio 2013

Perle infilate

Perle infilate
Su collane di legno.
Tra i faggi, piove.


lunedì 21 gennaio 2013

L'occhio di legno

L'occhio di legno
Stilla dai rami morti
Bugiarde lacrime.


domenica 20 gennaio 2013

Giallo, adorna

Giallo, adorna
Il pasto del fagiano
Fradicie porche.


venerdì 18 gennaio 2013

Foschia lontana

Foschia lontana,
Creste impolverate.
Le nubi ridono.


giovedì 17 gennaio 2013

Scoppia di fiocchi

Scoppia di fiocchi,
Il contorno dei tetti
Oltre i comignoli


mercoledì 9 gennaio 2013

Indugia e trema

Indugia e trema
La nudità dei nidi
Sulle acacie.


martedì 8 gennaio 2013

Nel ripostiglio

Finisco con gli scarti. Anzi, lo scarto.
Dopo un amore stuprato e stregato, dopo uno deviato e sadico, e dopo una crudeltà cone la vecchiaia, e dopo la terna streghe-streghe-orchi, la poesia con il buio dentro che avevo lasciato da parte parla di un Demone. Bellissimo, doveva essere, ma forse non ci stava, nei versi previsti, perché ce l'ho lasciato fuori. E giustizia vera vorrebbe che la riprendessi in mano, questa, e la rivedessi. Ma io non ho nessuna voglia e della giustizia poetica me ne sbatto. Quindi finisci qui, come un pensiero qualunque di un gelo meno ispirato, in mezzo ai primi pensieri del nuovo millennio di pensieri. Sì, perché alla fine questo blog ha superato i mille post, e quasi tutti sono quasi poesie e poesie con dentro fuoco e buio. Mi fa un po' impressione, a dirla così. Mille pensieri son tanti. Mille belli, intendo. E i miei son tutti belli, riguardo al germe che li ha creati, ovviamente. Comunque, abbandioniamo al suo destino questo amore negato tra un demone e una donna che, per esso, diventa carceriere.




Nel ripostiglio



Draghi, pagliacci, castelli,
cavalli di legno, specchi in frantumi.
Cuori di cane, tette di strega.

Doni stipati,
obliate illusioni.

La voluttà scatena,
Il rancore sigilla
con chiodi d’argento
e arcane preghiere.

Al viso spettrale,
disseccato,
digiuno da mesi
eppure fanciullo,
supplico,
piccolo demone:
Non negarti, non rifiutarmi più.


lunedì 7 gennaio 2013

Senilità


All'inizio mi spiaceva, rubare il titolo a Svevo, poi non avrei potuto trovarne di migliori. C'è un minimo di effetto sorpresa, e no, non è una poesia dedicata ai comunisti, anche se pure loro sono parecchio vecchi e soli. E si riproducono a stento, pare.
L'idea è stata dell'ultima ora, così, solo perché Cristina aveva prodotto una terza poesia e per par condicio pure io dovevo produrne una terza, ho pensato. In realtà era solo perché pensavo agli orchi, orchi vero, essere non umani, mostruosi, che magari chissà, davvero, divorerebbero un bambino, tenero e poco peloso, piuttosto che una lepre o un cinghiale. Orchi che se hanno un briciolo di intelligenza sanno che fuori, nel mondo, c'è youtube e gli smart phone, pronti a testimoniare, deninciare, distruggere qualunque elemento che abbia della diversità.
E allora, vecchi, soli, stanchi, malati, non possono fare altre che nascondersi, nell'unico luogo dove è ancora possibile nascondersi, le viscere della terra, al buio. Impossibilitati a riprodursi e forse, chissà, per orgoglio, ad ammazzarsi. Fanno pena, si. Più che orrore è raccapriccio. Volevo metterci molti suoni, ma non ci sono riuscito poi tanto, anche se sono riuscito a ficcarci due silenzi rumorosi, o almeno quello era il mio intento. Vabbè, cambia poco. E' forse la poesia più fruibile delle tre, ma forse quella con meno guizzi. le parole, potevano essere migliori, va. Lo so da me. Pazienza.
Vi tenete questa pure, che senza spazi secondo me perde, anche se non tanto, quindi leggetela qui, che è più meglio.





Senilità



Prostrati,
Si seppellirono in terre umide.

Ossute crocchiano le giunture
mentre grattano dai denti
ragni e topi.

Ciechi per età,
infezioni,
il buio per ultimo amico.

Non hanno più
con chi parlare.

La loro fame
cerca i vermi tra le rughe.

Un tempo infuriavano
nelle fiabe,
divoravano i bimbi dalle culle.

Ora
che mostrarsi è morire,
nobili,
durano.


domenica 6 gennaio 2013

CO2



Continuo con giustiziare le mie tre poesie. Questa parte male già col titolo. Il 2 era al pedice, e a lungo sono stato indeciso se metterlo così o meno. Perché per parecchio il titolo è stato Carbonio Ossigeno. Con una e congiuntiva in mezzo che andava e veniva. Poi mi sono detto che la chimica andava bene, perché la maggior parte della stregoneria che conosciamo è chimica. E fisica, certo. Ma qui la volevo chimica e penso che ci stia bene, quel titolo. Questa poi è facile, con quella cosa dell'alternanza di linguaggio che mi piace tanto, classico e moderno, e qui gli spazi contano, su scheletri invece sono spariti, e pazienza, piacetela lo stesso, se vi piace. Sono tempo che salta, accompagnato dai tempi verbali. Per scriverla rileggevo le torture e gli strumenti dell'epoca, come la pera, il triangolo e via discorrendo. Non inorridisco facilmente, ma ogni volta che li leggo penso che sia stata la pagina più buia dell'umanità, e pensarla in nome di dio mi tiene lontano dal suo fan club attuale. Comunque anche qui c'è una vendetta, ma non mi interessava più di tanto. La vendetta contro la progenie è quantomeno bizzarra e scorretta, ha poco senso. A me interessava di più l'idea di una spiegazione alternativa al cancro, al perché certi esseri umani vengono divorati e altri, a parità di assunzione sostanze, ne paiono immuni, o comunque molto meno toccati. E mi piaceva l'idea che la cenere dei roghi fosse il co2 che appesta l'aria, secoli dopo. Alla fine nemmeno questa mi dispiace, anche se è più facile, più immediata. Però ho il merito di averci ficcato la parola "puttana" e farne poesia. e me ne compiaccio. :)






CO2



Siamo donne di cenere,
martirio di fumo,
vendetta che indugia
in parcheggi e semafori.

Prendiamo posto,
irruenti,
nei polmoni della vostra progenie.

Il Maligno
sangue nostro
dal vostro seme.

Forgiaste triangoli,
ruote, pali, aculei
supplizi d’unghie e seni.

Ci chiamavate streghe,
ma eravamo solo femmine
o puttane.

Bruciammo,
urlanti,
imperdonate.



sabato 5 gennaio 2013

Semi

Sono un po' orfano dell'altro blog e allora uso questo, che per fortuna non lo caga mai nessuno, e sono felice così. Oggi e domani e dopodomani lo voglio fare per un atto di giustizia. Nei confronti delle mie poesie dell'ultimo scorcio di 2012. Le tre poesie horror, quelle che ho mandato a Scheletri, così, tanto per sostenere il sito e per stuzzicare Cristina, e obbligarla a partecipare. Alla fine ne volevo mandare una soltanto, ma è andata che ne ho scritte quattro e mandate tre.
E siccome okay, io di poesie vere, non pensieri, ne scriverò a malapena due, a volte tre l'anno, perché non ne ho capacità e troppo dovrei studiare e investire per tentar la via. Però quei pensieri a metà strada, che vanno più verso la poesia, rispetto all'accozzaglia di parole, sto attento anche agli spazi, alle pause, agli a capo. E mi spiace che uno li debba leggere senza, come se fossero parole a caso pressate in una tasca, che come vengono, vengono. I silenzi e le pause sono ancora più importanti, si sa, che le parole cambiano a seconda di quanti e quali silenzi ci metti intorno.
E allora, siccome sul sito di scheletri le trovate tutte senza silenzi, qui sotto eccovi la prima, Semi, che poi era l'unica a non avere pause. Una storia, in fin dei conti, che gioca sul triplice significato della parole, i semi delle carte, delle piante, dell'uomo. Semi casuali, buoni e cattivi, inseriti nello stupro di gruppo di una strega (e lo so, forse non la dovevo scrivere questa frase, che mi manderà sul blog un sacco di pervertiti del paranormale) con relativa vendetta.
A me, piace molto.





Semi




Crebbe il mirto, d’altro fu il rovo,
ortica, acacia, biancospino.
Dicevano strega, eri una bambina.
Noi in troppi e troppo
il nostro amore.
Un mazzo di carte, due chiodi
a spalancar le cosce.
Fiera, graffiavi,
e ora i germogli:
rami, foglie, spine, fiori,
a spaccar pelle, intasare gole.
Esploso il volto al re di picche,
Aspetto
io,
due di cuori.



 

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