Non si può dire. Meglio le bugie. Del mare e dell'alba, non si può dire.
Perché ci son cose che no, non si possono. Non si può leggere Sereni sul ciglio della strada, a cavalcioni della statua di Napoleone, mal guardati, a notte fonda, piegando le pagine per ghermire la luce di un lampione. E poi vuotare i cassetti, ripulirli, riempirli, preparare da bere e da mangiare aspettando che s'allontani l'ora del lupo. Aprir la marmellata di lampone, molto prima della colazione, e guardar la piazza addormentata, offrendo latte, un rutto, una mano alzata. Non si può dire d'avere passato il tempo del buio morbido che bussa sulle ciglia dell'aurora disegnando, colorando un deserto color carne, no, non si può dire, forse a malapena si può pensare.
E che è bello il mare freddo stordito dal vento che punta i raggi in acqua come stampelle e basta questo per sapere di vivere e di poter morire. Ma nemmeno questo si può dire.
Meglio dire che scopavi, che bevevi, che dormivi. Meglio dire che s'era in giro, ad allungare la vita alla noia. Non si può dire che s'ascolta sufjan stevens a volume basso mentre si guida lenti verso dove ancora non ha spiovuto; non si può dire di passare lunghi minuti ad ascoltare il tintintin incessante di una catena sull'asta, o di guardar la schiuma che vola via, in ciuffi vivi e leggeri, rotolando.
Meglio dire che scopavi, bevevi, dormivi. Meglio dire che prendevi il sole, per il culo;
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